Apologia non richiesta della ricerca che non studia il COVID-19

4 May 2020
Cover image of Apologia non richiesta della ricerca che non studia il COVID-19

Oggi diamo la parola a Liuba Papeo, esperta in neuropsicologia cognitiva. A prima vista la sua ricerca,  finanziata dal Consiglio europeo della ricerca (ERC), non riguarda  l'emergenza attuale causata dal coronavirus. Ma la sua opinione è che il suo lavoro — e quello di altri ricercatori finanziati dall’ERC — potrebbe in realtà rivelarsi di vitale importanza per aiutarci a far fronte alle sfide future.

Il 13 marzo, l'istituto che ospita il mio gruppo di ricerca è stato chiuso in seguito alla  diffusione del COVID-19 in Francia. Essendo italiana, con la famiglia già da un po’ confinata in casa a Milano, pensavo di essere preparata. Non lo ero. Soprattutto, non ero pronta a mettere in discussione le mie priorità e ad ammettere che, in una situazione di crisi inedita, molte cose che fino ad allora avevano riempito la mia vita quotidiana potessero essere messe da parte. Anche quelle che ritenevo le più necessarie, come i nostri esperimenti su cervello umano e cognizione, che abbiamo dovuto sospendere.

Col mio gruppo di ricerca, abbiamo deciso di concentrarci sull'analisi dei dati, e la stesura di rapporti scientifici, attività che si possono svolgere con un computer da casa. Sin dai primi giorni, la determinazione dei miei collaboratori nel portare avanti i nostri progetti è stata quasi commovente. Per me è stata una lotta. Mentre messaggi e relazioni scientifiche si accumulavano nella mia casella di posta elettronica, mi sentivo come il capitano di una nave che affonda, che deve mantenere alto il morale dell'equipaggio, mentre egli stesso ha già perso le speranze. Sopraffatta dalle notizie e dalla proliferazione di pubblicazioni scientifiche e iniziative a sostegno di ogni ramo di ricerca legata al COVID-19, ho cominciato a mettere in discussione l'esistenza stessa e l’importanza  della mia ricerca.Mentre tutti improvvisamente si rivolgevano agli scienziati in cerca di spiegazioni e soluzioni, ho avuto l'impressione di non avere nulla da dire o da offrire.

I miei studi sul rapporto tra cervello e comportamento spesso sembrano astratti, lontani dalle questioni dal mondo reale. Studio come il cervello umano elabora le interazioni sociali, esaminando aspetti che non rispondono a  nessuna domanda ovvia  che, ad esempio, mia madre potrebbe porsi sull'uomo o le relazioni sociali. Con l'esplosione dell’emergenza COVID-19, tale sensazione è diventata più forte che mai. Mentre tutti improvvisamente si rivolgevano agli scienziati in cerca di spiegazioni e soluzioni, ho avuto l'impressione di non avere nulla da dire o da offrire.

Per sentirmi utile, ho risposto a un invito del CNRS, la mia istituzione, a sostenere i colleghi impegnati nella ricerca clinica sul COVID, mettendo a disposizione le mie competenze tecniche e metodologiche per la raccolta e l'analisi dei dati. Ho risposto ad una richiesta  di disponibilità dalla Royal Society Open Science, ad esaminare rapidamente le relazioni scientifiche sul COVID-19, prima di renderle pubbliche. Ho seguito un gruppo nato dalla Società di Scienze  Cognitive (Cognitive Science Society), che ha aperto una discussione sul contributo della nostra comunitá nella crisi attuale.Dopotutto, studio il modo in cui le persone percepiscono gli altri e le loro interazioni sociali. Ci saranno sicuramente dei cambiamenti importanti da registrare se all’improvviso l’attività umana più naturale, lo scambio fisico, diventa un problema! 

Ho fatto altre cose (più o meno significative), tra cui lanciare un progetto su aspetti della cognizione umana che potrebbero essere influenzati dalle circostanze attuali. Dopotutto, studio il modo in cui le persone percepiscono gli altri e le loro interazioni sociali. Ci saranno sicuramente dei cambiamenti importanti da registrare se all’improvviso l’attività umana più naturale, lo scambio fisico, diventa un problema! Il COVID-19 può danneggiare la salute delle persone attraverso l'azione diretta del virus sugli organi (incluso, sembra, il cervello), ma anche attraverso i cambiamenti improvvisi imposti nello stile di vita e nelle relazioni sociali.

Ci sono aspetti di questa crisi che non possono essere lasciati a virologi ed epidemiologi; la psicologia ed altre discipline hanno, e avranno, un ruolo centrale in ogni fase di questa crisi. Questo significa che intanto si dovrebbe sospendere la ricerca che non si occupa di COVID-19? Dovrei forse mettere da parte i temi centrali dei miei studi per lasciare quanto più spazio e risorse possibili alla ricerca sul COVID-19? No: la mia ricerca deve restare aperta e più viva che mai, anche se, per quanto ne so adesso, non ha nulla a che vedere con il COVID-19. 

La mia ricerca deve restare aperta e più viva che mai, anche se, per quanto ne so adesso, non ha nulla a che vedere con il COVID-19.

In quanto scienziati, abbiamo il dovere di fotografare e misurare gli eventi attuali, così straordinari nella storia dell'umanità, e abbiamo gli strumenti per farlo. Questo compito è necessario per il presente e per il futuro. Dobbiamo raccogliere quante più informazioni possibili per trovare soluzioni rapide ed efficaci, e limitare i danni con lo sviluppo di conoscenza e tecnologia; poi dobbiamo analizzare i fatti, descrivere quello che è successo e trasmettere le informazioni e la memoria, al fine di poter essere preparati meglio la prossima volta. In tutti i campi, il lavoro degli scienziati è l’analisi per la predizione. Non siamo molto bravi ad anticipare il futuro o quanto meno le nostre esigenze future

Tuttavia, dobbiamo ammettere due fatti. Primo, non siamo molto bravi ad anticipare il futuro, o quanto meno le nostre esigenze future. Philip Tetlock, professore di psicologia presso l'Università della Pennsylvania, ha passato 20 anni a studiare la capacità delle persone di prevedere eventi futuri, e ha dimostrato che gli stessi esperti sbagliano piú spesso di quanto si possa immaginare [1]. D’altronde la storia è piena di esempi celebri. Nel 1916, Charlie Chaplin riteneva che il cinema sarebbe stato un fenomeno transitorio, perchè la gente avrebbe sempre preferito il teatro. Nel 1932, Albert Einstein credeva che non si potesse ottenere energia nucleare. Nel 2007, Steve Ballmer, ex amministratore delegato di Microsoft, affermava che l'iPhone non avesse alcuna chance di conquistare il mercato.

L'evoluzione della crisi del COVID-19 può essere un altro di questi esempi. Fino a qualche settimana fa era opinione comune, anche tra gli scienziati, che quella sul cancro fosse il culmine della ricerca utile e necessaria. "Dopotutto non stiamo studiando la cura per il cancro!". Quante volte abbiamo sentito o pronunciato questa frase che sottintende un ridimensionamento della ricerca di base, ricordando i limiti del suo impatto immediato ! Interrogati sulla malattia più urgente da affrontare, in pochi, a parte forse virologi, epidemiologi e biologi, avrebbero risposto  "le infezioni respiratorie". E quanti  progetti di ricerca sul coronavirus non sono stati finanziati nel corso degli ultimi decenni, a favore di progetti che forse sembravano più necessari o rilevanti! Ed eccoci qui !

Non è sempre possibile conoscere la portata e le conseguenze di uno studio Il secondo fatto da ammettere è che non è sempre possibile prevedere la portata e le conseguenze di uno studio, anche quando riguarda la nostra stessa ricerca. Oggi sappiamo che semplici comportamenti e abitudini mentali possono avere effetti drammatici sul sistema immunitario. Per esempio, una vita sociale qualitativamente e quantitativamente povera rappresenta un fattore di rischio per la mortalità tanto importante quanto il fumo di sigarette o il consumo di alcol, e persino più importante di sedentarietà e obesità [2].

Il rapporto tra vita sociale e sistema immunitario non è ovvio, e certo non lo era quando i sociologi hanno iniziato a studiare gli effetti della vita sociale sull’organismo. Infatti, ci sono voluti 20 anni perchè il  primo rapporto scientifico che nel 1988 suggeriva tale relazione [3] venisse  sottoposto ad analisi sistematica. Non tutti i programmi di ricerca sono valutati in base al loro potenziale di salvare vite umane. Ma, anche se cedessimo ad una visione  semplicistica della ricerca scientifica, e concordassimo sul fatto che salvare vite umane è la cosa più importante di tutte, rischieremmo di abbandonare linee di ricerca che a lungo termine potrebbero inaspettatamente conseguire proprio tale obiettivo.

È difficile prevedere il futuro; pertanto, sarebbe un errore selezionare i programmi di ricerca esclusivamente sulla base dell'attualità, di quanto un tema ci sembri importante e urgente in un momento storico. Questo è per fortuna il principio che guida l'azione di importanti agenzie di finanziamento come il Consiglio europeo della ricerca (ERC). Per il presente e per il futuro dobbiamo investire quanto più possibile nella ricerca sul COVID-19. Tuttavia, tutte le altre linee di ricerca devono restare vive e aperte. Non sappiamo cosa esattamente ci riserva il futuro. Non sappiamo esattamente dove queste linee di ricerca ci porteranno.

La dottoressa Papeo lavora attualmente presso l'Institut des Sciences Cognitive « Marc Jeannerod » , Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) e l'Università Claude Bernard Lyon 1. Ha ottenuto un finanziamento dal Consiglio europeo della ricerca (ERC) nel 2017.

Note:
[1] Tetlock, P. E. (2017). Expert political judgment: How good is it? How can we know?-New edition. Princeton University Press.
[2] Holt-Lunstad, J., Smith, T. B., & Layton, J. B. (2010). Social relationships and mortality risk: a meta-analytic review. PLoS med, 7(7), e1000316.
[3] House J.S., Landis K.R., Umberson D. (1988) Social relationships and health. Science 241: 540–545.